Biografia

Giulio Mosca, l'artistaGiulio Mosca nasce a Cassano Irpino nel 1948. 
Artista visuale e scultore, consegue la maturità artistica e nel ‘67 si trasferisce a Torino, attratto dallo spessore culturale del capoluogo piemontese. Si iscrive al corso di Scultura all’Accademia Albertina di Belle Arti, prendendo parte in quegli stessi anni ai fermenti artistici che animano la città.

Condivide le esperienze più significative nell’ambito dell’Arte Concettuale e dell’Arte Povera, allora nascente, attraverso l’amicizia con Penone, Zorio e altri protagonisti delle Post Avanguardie.

Frequenta l’ambiente internazionale della Galleria Sperone, dove incontra l’artista americano Sol Lewitt e collabora con altri giovani artisti ad alcuni suoi progetti presso importanti istituzioni d’arte.

Titolare di cattedra di Scultura dal ’71 presso i Licei Artistici, ha esposto con continuità in mostre personali e in eventi internazionali. Sue opere e sculture monumentali sono collocate in spazi urbani e privati.
Interessato alla ricerca e alla sperimentazione, nella sua poetica indaga la riflessione filosofica attorno al mistero della vita e al ruolo catartico dell’arte quale strumento di conoscenza. Il suo linguaggio si esprime tecnicamente con l’uso di materiali che spaziano dalla terracotta al bronzo e all’alluminio, dalla cera al gesso, dall’utilizzo della stampa fotografica alla pittura.

Numerosi i viaggi negli USA, dove realizza una scultura momumentale nel New Jersey e una mostra personale a New York negli anni ’90. Dal 2008, in occasione di una visita a Casa Colombo in Jersey City, avvia una stretta collaborazione con l’Executive Director Carla Truncellito Mastropierro, per la nascita del MACC Museo Arte Casa Colombo (ora Italian Educational & Center for the Arts at Casa Colombo), insieme a Raffaella Giordana e Silvana Nota, che curano la mostra inaugurale Inner Earth Project, cui partecipa con un’ installazione e diverse opere.

Intervista all'autore

Quale ruolo assume l’arte nella tua esperienza?

Ho sempre vissuto l’arte come missione di vita e come strumento per cogliere ed esprimere la condizione umana. Trovo che la dimensione più autentica dell’esistente stia nel suo relazionarsi al trascendente ed è in questo senso che vivo l’arte come una preghiera, come rapporto con l’assoluto e mezzo di redenzione.

Il ruolo redentivo che attribuisci all’arte è aperto a tutti i fruitori?

La mia è un’arte che vuole scuotere l’interiorità di chi la fruisce, vuole svegliare dal torpore e dall’inautenticità di una vita in cui l’uomo, nel rendersi autosufficiente, rischia di perdere se stesso.

È per tale ragione che consideri l’arte come strumento di contatto tra Dio e uomo?

Si, infatti la verticalità si presenta come tema ricorrente nelle mie opere in quanto nell’esprimere la distanza tra Dio e uomo se ne esprime anche l’anelito al contatto che può avvenire solo se l’uomo riesce ad elevarsi verso una dimensione superiore.

In che senso consideri sacra la tua arte?

L’arte è sacra in quanto è in grado non solo di esprimere la distanza tra Dio e uomo, ma anche e soprattutto di colmarla creando una relazione, un dialogo tra le due alterità.

La tua è un’arte estremamente simbolica. In che senso ricorri al simbolo?

Il simbolo è implicito nella stessa natura dell’uomo e del mondo. Esso permette di esprimere allusivamente una realtà che non si lascia cogliere in modo lineare e completo.
Nel suo essere qualcosa che rimanda ad altro riesce ad esprimere ciò che voglio rappresentare nei miei lavori e mi permette di lasciare sempre aperti nuovi spazi interpretativi.

Quali sono i temi propri della tua arte?

E’ un’arte che tratta questioni universali che vanno dalla specificità dell’uomo come “Angelo caduto”, ovvero come angelo mancato che tende ad una dimensione superiore, alla “Cosmogonia” inteso come momento e spazio cosmico in cui vengono posti i protagonisti della storia umana e divina. Dalla “Croce”, come evento che rappresenta la realtà del dolore, del peccato, ma anche della redenzione, all’”Eros” come dimensione enunciativa. Non è semplice rappresentare questi temi in una società dissacrata, ma forse questa consapevolezza mi dà un motivo in più per riaffermare quanto di più vero sento appartenere all’Uomo come uomo, ovvero all’uomo di tutti i tempi.

Qual è la tua disposizione interiore quando lavori?

Quando mi accingo al lavoro segno costantemente le direttive che mi provengono dal profondo di me stesso, percepisco forti emozioni e le trasmetto nella forma delle mie opere.

Intervista a cura di Agata Carollo

Giulio Mosca, l'artista

Antologia critica

CARLO GIULIO ARGAN
Stralcio dell’artista
La qualità dell’invenzione della plastica mi sembrano davvero notevoli nei tuoi lavori.

GIORGIO AUNEDDU
Catalogo della mostra Diaspora, Torino, 1990
Quest’opera sembra condurci in una sorta di verità più profonda, che non confluisce sempre nella verità ordinaria. Queste opere si possono leggere anche come paesaggi emozionali di una stagione totale ravvicinata, che intensificano la verità non rispettando più la prospettiva naturalistica nè le regole accademiche.

GIOVANNI CORDERO
Corriere di Torino, maggio 1996
L’intenzione di Mosca è di far rivivere interiormente ad ognuno di noi il mistero dell’esistenza umana: con le sue luci e ombre, con le sue grandezze e miserie, con le sue cadute e trionfi. Egli denuncia il teatro dei suoi valori etici e cerca di armonizzare la pittura e la scultura in un ambiente dove i confini fra le due arti vengono annullati. Propone atmosfere di particolare suggestione espressiva ed emotiva, evocata in disegni ricoperti da un sottile strato di cera e custoditi in formelle di legno. Su tre svettanti basamenti si librano sculture in gesso che testimoniano la fedeltà dell’artista alla tradizione figurativa: è questa la sua cifra personale così attraente perchè così atemporalmente vera. Infine citiamo il forte richiamo antropologico, come chiari riferimenti alla contemporaneità, registrato in quel monumento dedicato al U.N.M.S. (Palazzo di Giustizia) dove linsieme scultoreo formato da una figura modellata in atteggiamento propositivo avanza oltre una lastra di piombo sostenuto da due elementi laterali.
Ci sembra chiaro il riferimento di esortazione sociale, l’invito a superare gli anni di piombo che hanno connotato così pesantemente questi ultimi decenni.

FRANCO FANELLI
Catalogo della mostra “Cosmogonia”, 1991

Aspetti e iconografie presenti nella più recente scultura di Mosca: scultura prevalentemente <<da parete>>, con un repertorio fisso di simbologie e metafore: l’Angelo dalle ali di cera saettante ome un vettore nella densità nullificante dei catrami, i personaggi-profeti racchiusi in toghe-corazza (soggetto dei più convincenti bronzi esposti nel 1981 alla Bussola; la Croce; la meridiana come indizio di Vanitas. La struttura simbolica dei materiali è pronta a piegarsi o a contarsi in opposizioni o assonanze: emanazione naturale, la cera vergine nelle sue opalescenti trasparenze asseconda o irradia luminosità; le iridiscenze del catrame, residuo bituminoso di quella stessa natura, ma bruciata e artefatta, si caricano all’inverso di minacciosi presagi.
E’ in atto il combattimento cosmico tra immaterialità consustanziata in cascate di luce o di ori e la sedimentazione di telluriche immanenze.
Il turbinare della lotta, caratteristico delle sculture, si traduce sovente in immobile attesa nei disegni, dove Mosca si affida all’ineluttabilità di larghe stesure e dove il simbolo si pietrifica nell’inequivocabilità della metafora.
Emergono dall’alternanza di lotta e vigilanza, luce e tenebra, volti di secessionistica memoria o nostalgia, spossati Angeli guerrieri o profetiche sentinelle: estrema volontà di <<Arte Sacra>>, o Santa, la propiziazione che fu del maestro di ombre cinesi Faraqàt nel bellissimo romanzo postumo di Furio Jesi, pronto e rassegnato, a fronte della’pocalisse incombente, ad animare l’estremo, probabilmente inutile, ma tuttavia unico, tentativo di rito salvatorio con l’ultima rappresentazione nell’ultima notte.

RAFFAELLA GIORDANA
Catalogo della “Via Crucis” Parrocchia Madonna della Divina Provvidenza – Agrigento, 2000.

Leggera, soffice, impalpabile, la cera veicola le immagini della Passione come avvolte in una nuvola di sogno. E’ la realtà fotografica ad acuire la realtà stessa del sogno, per essere visualizzata. Memoria e segno di una dimensione sublime. Gesù, il Dio che si è fatto carne, per amore. La percezione della carne come peso soverchiante, nasce spontanea dentro chi guarda, spettatore consapevole per un momento, dell’insipienza.
Attori-comparse, ieri come oggi. Le figure fragili, molli, duttili sulla scena della vita, di uomini e donne, protagonisti e lontani dalla Verità, ostinatamente in fuga dal dolore, ignoranti della Bellezza e della Luce.
Tutta la fatica è là, nella Croce sempre presente. A Gesù tutto il carico, lo spessore intollerabile della coscienza.

MANTOVANI
Catalogo della mostra al Circolo degli Artisti del 1979.
Il profeta è muto, velando il capo tenta di comprimere la parola strana; ma da lontano la voce irrevocabile risuona, attraverso l’antro guadagnando ossessiva potenza, il rilancio circolare degli echi distende il suono fratto della parola nell’onda avvolgente del verbo. La solitudine è infrangibile, suppone attorno l’orizzontalità senza confine immobile del deserto. L’incontro è silenzioso come si conviene a chi ritorna da non giustificabili distanze: il figlio riconosce il padre, essi racchiudono il segreto nelle valve di un abbraccio. L’assemblea accoglie ed imprigiona nel cerchio il messaggio da lontano (dall’alto, dal profondo), oppure oppone la frontalità diritta del baluardo (i deschi rotondi della cena greca, l’attesa vorace della pentecoste o la tavola rettilenea parallela della cena latina). La violenza esemplare (il peccato – originale peccato – e la morte che ne è il marchio) è già stata consumata e i protagonisti voltano ritualmente le spalle. Naturalmente i nomi sono cassati, le fisionomie smussate, liquefatte, cancellate; mentre gli abiti assumono l’ampiezza di paludamenti liturgici, che non rivelano un corpo anzi lo sottraggono non solo agli occhi, addirittura evocano la cavità risonante di un interno vuoto. I segnali del corpo che a volte affiorano – i piedi, per esempio – sono residui di un organismo sezionato e disperso
(la evidenza positiva del calco a confronto con il velo pieno di vento lo conferma).
La scultura è cava. La vicenda di Rublev esemplarmente si conclude con la fusione di una campana.

SILVANA NOTA
Mostra Inner Earth Project – MACC Museum di Jersey City (USA) 2010
La strada della trascendenza come via d’uscita al dolore umano. Giulio Mosca individua nell’arte una funzione catartica. La passione attraverso cui sondare il senso della vita e il suo mistero. La sacralità della relazione tra gli esseri viventi, la forza biblica di un cammino rischiarato dalla luce anche laddove il cielo è cupo e l’atmosfera è densa. L’introspezione meditativa è evidente in tutta la sua opera, dominata da un silenzio eloquente. Le sue figure raccolte, i suoi profeti immoti come rocce perenni, testimoniano l’incacellabile presenza dei saggi di tutti i tempi che vigilano, guidano e accompagnano le genti di ogni era! Sono le sue visioni di folle sovrastate da angeli in volo, visibili e invisibili, come presenze leggere che assistono il mondo, che colpiscono l’attenzione dello spettatore, costretto a non fermarsi alla superficie.

DADA ROSSO
La Stampa del 24/09/1999, Torino
A vederlo così, severo dietro una barba antica, sorge il dubbio che il titolo delle sue opere – Eletti, Apocalisse, Cosmogonia – siano un’enunciazione di fine millennio. Quando sorride, però, il dubbio in parte scompare perchè di lui torna evidente il carattere positivo, ottimista, aperto. Ma in Giulio Mosca questa è solo una prima contraddizione. Una seconda è la laica sacralità con cui scolpisce. Una terza è la sua settentrionale meridionalità, difesa a tutti i costi, persino con l’orgoglio della parlata. Si potrebbe andare ancora avanti, ma fermiamoci. Nato a Cassano Irpino, approdato nel ’67 a Torino – allora città in pieno fermento, un mito per i giovani del Sud – per frequentare l’Accademia di Belle Arti, Mosca ha incominciato a vivere la sua <<contraddizione>> isolandosi dal gruppo dei suoi compagni, diventati in molti, più tardi, illustri nomi dell’Arte Povera. La sua è stata una scelta da scultore, inizialmente influenzata dalla realtà primitiva dei paesaggi della sua infanzia, costellati di monumenti. Una scultura, quella di Giulio Mosca, in cui ricompaiono miti, leggende ed eroi inizialmente pagani, ma destinati fatalmente a mescolarsi con discorsi di spiritualità. Non a caso le sue opere più importanti, realizzati nei più svariati materiali – la terracotta, il bronzo, il cemento, la pietra, l’acciaio, la cera – sono grandi opere in cui si mescolano sacralità e coscienza civile. Ed è proprio in quel mix che Mosca dà il meglio di sè stesso, come dimostra il monumento sistemato davanti al nuovo Palazzo di Giustizia di Torino.

ALESSANDRO ABRATE
Catalogo della Mostra “Antologica” Cuneo 2008
La luce e la tenebra, il rimando alla creazione e all’apocalisse ci conducono nei labirinti del tempo e dello spazio; alle domande che arrovellano da sempre le generazioni; ai dubbi di cosa c’era prima e di cosa verrà poi. Con risposte che spesso generano ulteriori incertezze e sollevano angosce. Il magma delle inquietudini umane è stemperato dalla forza irrazionale – ma vivifica – dell’eros, che concede estasi, ebbrezza, caldi soffi di benessere.

LUIGI CARLUCCIO
Gazzetta del Popolo del 03/02/1981, Torino
Giulio Mosca rappresenta la vocazione ad evadere dalla cronaca, sospinto da un sentimento profondo della metafisica e quindi della verità di <<altre>> cronache; le <<celesti>>, della fede. Figure in piedi di Profeti e formelle, molte, in cui l’artista ricostruisce i passi più conosciuti del Vangelo con una mobilità di impronte ed una vivacità di composizione, ben trattenuta del resto dentro spazi precisi, che discendono sia dalla animazione del modellato sia dalla toccata della luce che lo investe. Ne viene fuori un discorso plastico che conferisce ai contenuti sacri una forma fatta in gran parte di cenni, significativi e significanti, di allusioni aperte, di concitatissimi dialoghi tra luci e ombre pur nel breve spessore del bassorilievo. Così l’immagine affiora e affonda al tempo stesso nel suo spazio, rivela e nasconde, diventa cioè cosa o argomento che l’intelligenza e la sensibilità dello spettatore deve in sè chiarire e completare.

ANGELO DRAGONE
La Stampa del 15/12/1990, Torino
L’opera plastica di Giulio Mosca è come ispirata, se non permeata, da un sentimento che, al di là della Fede, si fa intimamente religioso. Con chiare ascendenze formali più o meno illustri, il <<bassorilievo>> delle formelle come il “tutto tondo” della sua statuaria vivono in funzione della luce. Questa anima lamateria nervosamente modelllata nelle figurazioni affioranti dal fondo come la resa plastica in cui si svolge il volumetrico impianto di figure in cui a ragione Albino Galvano ha visto un messaggio fatto di <<raccoglimento e di meditazione dell’uomo e sull’uomo.

ALBINO GALVANO
Catalogo della mostra “La Bussola”, 1981
Senza clamore, ma con fermezza di voce, Mosca ci comunica il suo messagio di raccoglimento, di meditazione sull’uomo e dell’uomo.
La scultura, per lui, non è artigianato, ma vocazione.

RAFFAELLA GIORDANA
Catalogo della mostra” La Bussola”, 1981
I tuoi lavori, Giulio, mostrano il tuo pensiero dominante, il potere soprannaturale sull’umano; mostrano altresì una grande aspirazione, di vedere aldilà di questo potere. I viluppi in cui si nascondono le figure rappresentano il desiderio profondo di liberarsi, ma al tempo stesso la percezione che siamo costituiti insieme al corpo, un tutt’uno con questo, quindi l’impossibilità di trovare libertà. Mostrano il potere del soprannaturale invano indagato, poichè esso è mistero per l’uomo. Come corazza di difesa e insieme camicia di forza, così come il tuo spirito percepisce il mistero.

ANTONIO MIREDI
Corriere di Torino del 27/03/1997.
Nell’opera di Giulio Mosca, le figure si presentano come figure che non sono figure, segni di evocazione – ali leggere, iconografie bibliche, tagli di luce… – impronte, stazioni di un cammino dell’uomo. Profeti che, per lasciare un messaggio di verità, sacrificano la loro individualità e si mostrano senza volto e senza storia per interrogarci, muti ed immobili, chiusi in una corazza di abbraccio o con le braccia spiegate verso l’infinito.

SILVANA NOTA
Una raccolta per cominciare – Assessorato alla cultura Moncalieri -Edizione d’arte fratelli Pozzo, 1995.
Dentro la trama del tempo, cercano la vita e la perdono come in un film le moltitudini. Immersi nella consistente materia di un parallelepipedo, trovano ancora le immagini dilatate da orizzonti sconfinati, turbe umane sconvolte da una sorta di diaspora collettiva. Uomini e donne uniti da una relazione speciale che racconta della fratellanza, della sorte unica che li attende. Sono figure che si inseguono, si raddoppiano, si espandono senza confine. Abbattono gli steccati infiniti illuminandosi di luce radiosa, là sullo sfondo, vinti dall’esperienza di una pace duratura.

ENRICO PEROTTO
Catalogo della mostra “Antologica” Cuneo 2008.
Ecco gli esseri umani o angelici guardiani della soglia tra l’esistente e l’immaginario, tra il visibile e l’invisibile; sono figurazioni del trascendente, che paiono scrutare il cielo, dimora dell’epifania divina, come per vaticinare responsi per il futuro dell’umanità. La loro forma corporea è allegoria della trasfigurazione dell’essere umano in alterità ultramondana, ma conservano ancora uno sguardo retrospettivo, in grado di rivolgersi alla ricerca e al rinnovato riconoscimento dell’autenticità dell’essere troppo spesso trascurato ai nostri giorni.

MARISA VESCOVO
Rivista Color N° 2 del 1984, Ed. Weber
Giulio Mosca è partito dal bronzo, un materiale tradizionale e molto condizionante, per arrivare oggi alla cera, altra materia della tradizione, ma trattata come <<pittura>>, cioè mescolata a pigmenti colorati, prevalentemente grigi e bruni, che si intarsiano al giallo mieloso dell’ocra naturale, essi danno corpo ad una materia tattile e sensuale, senza riflessi o folgori, he sembra uscire dal profondo del magma inconscio, così come la cera proviene lentamente dal ventre dell’ape. L’organizzazione complessa del materiale, dentro la continuità di <<una tradizione>> italiana, mette a fuoco la tensione dialettica dello spazio della vita e delle sue contingenze. Non ci stupisce dunque se uno dei temi dominanti del dibattito contemporaneo, anche nell’ambito dell’arte visiva, è quello che si produce intorno all’idea di Apocalissi. E’ inutile negare le radici <<religiose>> <<bibliche>>, dell’apocalitticismo contemporaneo, esso però ha trovato oggi nello <<straordinario>>, e nel <<fantastico>>, un proprio autonomo spazio di espressione, che lo riconduce ad un’identità di matrice: espressione di suggestioni, che anche in senso laico, si possono definire <<mistiche>>.

L’Apocalisse sta per una situazione esistenziale, mentre il <<fantastico>> diventa una categoria narrativa che permette, a Mosca, di trovare varchi nella storia dell’immaginario sociale. La scultura a muro, come uno schermo, diventa luogo dei passaggi e delle trasformazioni, luogo dove avviene il risveglio di una <<cosa>> informe, e quindi paurosa, la terra dopo la distruzione atomica, ma in ogni caso immagini che contraddicono la nostra norma, o nozione di ordinario, ordinario che diventa straordinario, e viceversa. La risposta dell’artista a queste ipotetiche realtà dell’avvenire, si concretizza in una narrazione densa di simboli, infatti le domande che ci vengono dal mondo sono di quel genere alle quali la scienza non ha mai dato una risposta, e quindi la <<favola>> – sia per i primitivi, che per Platone – non ha smesso di essere il miglior mezzo per dimostrare un’idea indimostrabile, quella della dimensione cosmica dell’Apocalisse.
L’artista per sottrarsi ad una realtà aberrante si rifugia nell’irrazionale, vendica il piombo del presente, tentando di costringere chi violenta la realtà e prendere coscienza, ad accorgersi di falsificare il mondo, ad avvertire il disagio, il disgusto, l’impotenza della propria condizione.

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